Home Il seme del dubbio Sono partito, e lo rifarei.

Sono partito, e lo rifarei.

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Io viaggio, tanto. Anzi lo facevo.

Sono mesi, tanti, che non posso più farlo.
Ma a fine ottobre un cliente in Polonia mi ha supplicato di andare a fare un’assistenza  senza la quale non avrebbe potuto continuare lavorare.
Naturalmente non ho preso la cosa con leggerezza, ma considerato che la destinazione non era ritenuta particolarmente pericolosa, e non vi erano limitazioni di sorta, ho deciso di alleggerire l’animo del mio cliente, appesantendo un po’ il mio.
La prima sensazione arrivato in aeroporto è stata di smarrimento: io che passavo le giornate maledicendo per le code dei check-in, o le lounges troppo affollate, improvvisamente mi sono trovato a rimpiangere tutto quel mondo intorno.
Ecco com’era. Non c’era condivisione.
Anzi. Proprio il contrario. Condividere ora è male.
Infatti improvvisamente anche il mio naturale impulso di condividere col mio cliente i suoi problemi veniva messo in dubbio. Avrò fatto bene a mettere a rischio me stesso, e tutti i miei “congiunti” con me? Perché sono stato così superficiale?
La risposta non è semplice e ci ho messo un po’ per elaborarla ma è frutto di tutto quello che mi è accaduto.
Nonostante il check-in fatto naturalmente on-line, ho dovuto recarmi al banco per imbarcare la valigia e lì subito il primo fulmine. La signora mi guarda un po’ storto, probabilmente anche lei comincia a pensare di non voler condividere la sua vita con me, e mi dice che ha l’obbligo di informarmi che a Danzica “potrei essere sottoposto a quarantena”
Terrore!
Annullo tutto? Com’è possibile? Avevo letto ogni fonte ufficiale, dal Ministero degli Esteri, al consolato italiano e tutti riportavano che addirittura non era neanche necessario l’esito del tampone, né nessun’altra certificazione. Lo faccio presente alla signora che nel frattempo comincia a considerarmi un po’ troppo invadente.
Così mi redarguisce sottolineando che la sua è una posizione altrettanto ufficiale.
I nostri sguardi rimangono così. Fermi.
Dopo un secondo interminabile mi chiede se intendessi ancora partire.
Sembrava una mamma che dice al figlio: “Non dire che non ti avevo avvisato” con quella sicurezza che solo le mamme hanno, quando sanno che farai la cazzata!
A quel punto, la sua poca voglia di condividere era diventata reciproca, e ho risposto “sì”
Parto, cazzo! Alla faccia tua, e della iella che mi vuoi portare.
Poi, incamminandomi verso il controllo all’ingresso del gate ho realizzato la mia prima sconfitta: avevo lasciato che il buio altrui oscurasse la mia luce.
Al banco del check-in adoro essere gentile ed educato, ma lo faccio con sincero piacere. Cerco di restituire un po’ di gratitudine a chi molte volte ha di fronte persone poco inclini ad esserlo. Non nego che spesso questi modi mi abbiano fatto ottenere posti privilegiati a bordo, senza che lo chiedessi. Ed invece per la prima volta dopo molto tempo, mi sentivo derubato.
Ho cercato di recuperare la mia positività e per fortuna il personale ai controlli ha restituito ogni mio sorriso. Sono andato a fare colazione con una ritrovata speranza.

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Forse non va così male.
Ho continuato a pensare positivo, dicendomi che stavo facendo la cosa giusta.
Però durante il viaggio, ad ogni bus che prendevo (ho fatto scalo a Monaco) la gente si affollava accanto a me e mi sentivo a disagio ad essere a disagio. Ho qualcosa che non va. Di sicuro.
Dentro di me continuava a crescere la convinzione che la strega del check-in avesse ragione: avevo fatto una cazzata.
Fino a quando non sono uscito dal terminal, e ho trovato il mio cliente così felice di vedermi che avrebbe voluto baciarmi, altro che stringermi la mano. Naturalmente non ci siamo toccati, ma in quel preciso istante ho capito perché avevo affrontato tutto.

Perché l’unica cosa che conta non è sopravvivere, ma convivere. 

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