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Demografia: l’inversione del trend è una rivoluzione!

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Demografia: l’inversione del trend è una rivoluzione!
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Pochi anni fa il dodicenne Jeong-su, un bambino alto, disciplinato e timido, giocava tutte le mattine a calcetto nel cortile della scuola, un edificio di legno a due piani piazzato su una collina erbosa della campagna sudcoreana. Oggi, invece, la sua ricreazione consiste in qualche scambio a ping pong con l’insegnante di classe. Non un cataclisma improvviso, bensì il mesto destino demografico degli istituti rurali. Jeong-su è l’ultimo alunno della sua scuola, che chiuderà quando anche lui avrà superato l’esame di fine anno. Una storia non così insolita nella provincia coreana. La gioventù svuota i villaggi per migrare nelle grandi città. Seul, la capitale, continua a crescere, drenando abitanti dal resto del paese. Ma i piccoli centri urbani che si dissolvono al rallentatore – tipo Nogok (dove è nato Jeong-su) che ha perso la scuola, la banca e l’ufficio postale – sono la punta dell’iceberg di un fenomeno più generale, che tocca l’intera nazione.

I diciottenni sudcoreani, negli ultimi trent’anni, si sono quasi dimezzati. E i bambini sono così rari che li si accoglie alla stregua di apparizioni divine. Le autorità sanitarie li inondano di regali come vestiti e giocattoli, ma anche bocconcini di carne pregiata. Il governo tenta le mamme con assegni alla famiglia, bonus, cure per l’infertilità e trattamenti post parto in splendido comfort. Per risvegliare le nascite sono stati spesi, dal 2006, l’equivalente di 171 miliardi di euro in soldi pubblici. Ma il dio della gravidanza diserta il Paese. La situazione – ha ammesso sconsolato il vice primo ministro Hong Nam-ki – sembra culturale e permanente. Nel 2019 la media era meno di un figlio per ciascuna donna sudcoreana, primato planetario in quanto a cautela nel riprodursi. Così la Corea del Sud condivide insieme al Giappone la percentuale più bassa al mondo di persone tra zero e 14 anni. I giapponesi sono anche i più vecchi, con il 28,4% che è over 65. La seconda nazione più attempata è l’Italia, a seguire il Portogallo. Ma perché all’improvviso è utile questa sfilza di dati demografici?

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I numeri dello spopolamento

Secondo alcune stime, entro il 2050 in Cina i sessantenni saranno un terzo degli abitanti. E la forza lavoro è in caduta libera, meno di 40 milioni negli ultimi dieci anni.

La demografia significa destino, e ce lo hanno ricordato gli ultimi censimenti in Cina e Stati Uniti, le due superpotenze economiche della Terra. Tutte e due hanno visto crescere la propria popolazione al ritmo più lento da decenni a questa parte. Quella cinese fra non molto raggiungerà il suo picco, poi inizierà a contrarsi. Più morti che nascite. E come una valanga, queste forze demografiche sembrano espandersi e accelerare in gran parte del pianeta. Entro la seconda metà del secolo, o forse anche prima, il numero di abitanti globale entrerà in una fase di persistente declino. Un ribaltamento vertiginoso con pochi paragoni nella storia.

Ecco alcuni numeri pubblicati l’anno scorso su The Lancet, una delle più autorevoli riviste scientifiche: l’unica nazione, tra quelle oggi più popolose, che dovrebbe crescere in modo incredibilmente robusto è la Nigeria: + 284%, cioè quasi 800 milioni di abitanti alla fine del secolo. I cinesi si dimezzeranno, a quota 732 milioni. I giapponesi scenderanno a 60 milioni, la metà. I russi si ridurranno quasi del 30 percento, a 106 milioni. Gli indiani del 21%, a 1 miliardi e 90 milioni. Il Brasile calerà del 22 percento. Gli abitanti del Bangladesh potrebbero diventare la metà. Cosa che quasi certamente accadrà anche all’Italia, alla Corea del Sud, al Portogallo, alla Polonia, alla Spagna e alla Tailandia. Questo nuovo scenario, già nei prossimi decenni, avrà conseguenze enormi, dal punto di vista economico, sociale e geopolitico.

Da una parte meno pressione sulle risorse naturali, quindi benefici per l’ambiente. Dall’altra, una miscela socialmente esplosiva: bassa fertilità e vite più lunghe aumenteranno la mole di pensionati, riducendo il numero di abitanti in età da lavoro. Entrerà quindi in crisi il pilastro su cui sono organizzate le società di oggi, e cioè un surplus di giovani che manda avanti l’economia e aiuta a pagare i conti degli anziani. Fuorché in Africa Subsahariana (la cui popolazione triplicherà entro il 2100), i tassi di fertilità sono in calo ovunque. Il meccanismo è più o meno sempre lo stesso: nei Paesi cresce il benessere, per le donne ci sono più istruzione e lavoro, aumenta l’uso di contraccettivi. Poi nelle metropoli la vita diventa competitiva e i figli una specie di investimento da maneggiare con cura. I genitori ritardano la gravidanza e nascono ancora meno bambini. La piramide della popolazione piano piano si ribalta.

Il casoCina”

Com’è facilmente prevedibile, anche in questo Paese l’invecchiamento si preannuncia letale per il fondo pensioni, che potrebbe restare senza un quattrino nel giro di quindici anni, spiega l’Accademia cinese delle scienze sociali. E così il governo si trova davanti a un tormentato crocevia: dovrebbe aumentare l’età pensionabile (oggi molto bassa: 60 anni per l’uomo, tra 50 e 55 per le donne), ma temporeggia. Ha seppellito la politica del figlio unico e ha preso a distribuire sussidi a chi resta incinta di nuovo. Si aspettava una primavera delle nascite, ha ottenuto l’inverno della sterilità.

C’è un miscuglio di ostacoli difficili da rimuovere. Di sicuro l’aumento pazzesco delle spese per case e istruzione; poi l’agonismo professionale e l’ansia della vita moderna. Fatto sta che il Paese sembra irremovibilmente poco fecondo. Il tasso di fertilità della Cina, 1,3 figli per donna, è più o meno lo stesso del Giappone e ben al di sotto dei 2,1 necessari per mantenere stabile una popolazione. Un’altra strada potrebbero essere i migranti, ma la Cina non ne accetterà mai più di tanti, perché vuole restare omogenea (come del resto il Giappone). Così, però, si rischia di perdere dinamismo, dice James Liang, imprenditore e docente di economia all’Università di Pechino. Secondo lui è più efficace il metodo dell’apertura, e per questo gli Stati Uniti sono in vantaggio: nei prossimi dieci o vent’anni, ha detto Liang all’Economist, “noi cinesi continueremo a fare bene, ma poi l’America riprenderà la leadership e la Cina non recupererà mai più”.

(Fonte Forbes)

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