Immaginate per un istante. Elon Musk, sul palco di un’imponente presentazione in California, svela la sua ultima innovazione: il “Carbon Sink 3000″. Luci laser, grafici mozzafiato, e una platea in delirio. Il Carbon Sink 3000, ci spiegherebbe Musk con la sua solita, contagiosa sicurezza, è una meraviglia di bio-ingegneria, una struttura avveniristica che, attraverso complessi processi di fotosintesi artificiale e nanoparticelle catalitiche, è in grado di assorbire tonnellate di anidride carbonica dall’atmosfera. Un applauso scroscante riempirebbe la sala. Le quotazioni della sua azienda schizzerebbero alle stelle. I titoli dei giornali di tutto il mondo inneggerebbero al genio visionario che, ancora una volta, ha trovato la soluzione ai problemi più pressanti dell’umanità.
Eppure, questa macchina futuristica e costosissima, osannata come la salvezza del pianeta, esiste già. Non è frutto di un algoritmo complesso o di un laboratorio all’avanguardia, ma di milioni di anni di evoluzione e di un’ingegneria perfetta che si chiama natura. È l’albero. Sì, proprio quell’organismo umile, silenzioso e per lo più ignorato che cresce nei nostri parchi, lungo le nostre strade, e che forma le foreste che ancora, per poco, ricoprono parte del nostro pianeta.
Non ha bisogno di finanziamenti miliardari per la ricerca e lo sviluppo. Non richiede manutenzione complessa o pezzi di ricambio costosi. Non inquina durante la produzione e non genera rifiuti tossici al termine del suo ciclo di vita. L’albero semplicemente respira. Attraverso il miracolo della fotosintesi, assorbe anidride carbonica dall’aria e rilascia ossigeno, immagazzinando il carbonio nella sua struttura legnosa. Un processo che avviene gratuitamente, incessantemente, e su scala globale, se solo gliene dessimo la possibilità.
Ma noi, con la nostra infinita arroganza e la nostra cieca fede nel progresso tecnologico a tutti i costi, preferiamo attendere il Messia hi-tech. Aspettiamo l’invenzione clamorosa, il gadget scintillante, il salvatore con un brevetto e un prezzo esorbitante. Siamo pronti a investire fortune in progetti ambiziosi che spesso si rivelano inefficaci o dannosi, mentre ignoriamo il più potente, efficiente e sostenibile strumento di mitigazione del clima che abbiamo a disposizione: un semplice seme piantato nel terreno.
È giunto il momento di scuotere le coscienze, di spegnere gli schermi e di guardare fuori dalla finestra. Il vero “Carbon Sink 3000” non è un’app, non è un satellite, non è un drone. È lì, silenzioso, con le sue radici ancorate alla terra e i suoi rami protesi verso il cielo, in attesa che qualcuno smetta di cercare soluzioni fantascientifiche e si decida a riconoscere e proteggere la più straordinaria tecnologia che la Terra ci abbia mai donato. Sveglia, è ora di piantare, non di aspettare il prossimo tweet di un guru tecnologico.











